Restando immobile su uno di questi tanti cumuli di sabbia, con le isole Tremiti alle mie spalle, ammiro come non mai Torre Mileto, U Mund'dèvjh, Sand Pétr, Pal'mmêr, U Chjangôn, la Cima ó Sfrizz, la Còppa u Murtâl e la Chjàna d la Màc’na che non vedo e immagino col suo manto di mandorli in fiore a primavera, U Casîn d’ Mója, la Massarìja d Zaccagnîn e la Tufara, ogni cosa immersa fra alberi d vuliva e vuluvastr, péra e pp’razz, fìcura e fuch'rarìnja, pr'côch e pp’rûn, c’râs e nèsplaccjappûn, e infiniti cespugli d vucàca che mi ricordano la corona di spine che fu posta sul capo di Gesù poco prima di essere inchiodato sulla croce.
L’emozione e la gioia che provo in questo momento, per il panorama che mi sta davanti, è tale che l’anima mi si apre e la mente mi riporta all’ infanzia, alla fanciullezza e alla giovinezza, facendo capolino a quando, per sopravvivere, dovetti adeguarmi a lavori di poco conto e poco guadagno: duemila lire al mese, un chilo di sale, un litro d’olio e circa quaranta chilogrammi (nu tòmm’l) di grano (senza contributi); poiché dovevo sfamare di già anche la mia consorte che attendeva ansiosa il mio rientro dalla campagna, dopo giorni e giorni di assenza e che, premurosa, mi aiutava persino a lavarmi i piedi come Gesù fece a sua volta con gli Apostoli; e i Papi, i Vescovi e i preti, ancora oggi seguono l’esempio umile e umanitario.
Più sù, molto più in là della Tufara, al curvone della strada, oggi asfaltata, ma ieri bianca e polverosa, a quel caseggiato abbandonato, (d Paparôl). con le vacche al pascolo, all’ombra di un qualsiasi albero che costeggia la strada che porta in paese, mio nonno, che non aveva frequentato la quinta elementare come me, mi citava dei brani della Divina Commedia e della Sacra Bibbia.
Mi insegnò persino le ventuno lettere dell’alfabeto italiano, facendomele scrivere, continuamente, con una punta di lappz su un piccolissimo taccuino che lui portava con sé; e ricordo con affetto la domanda che mi rivolgeva felicemente così: “Pasqualino, a chi vuoi bene di più?” Ed io gli rispondevo: ”A Gesù, alla Madonna e al nonno materno!”:
Prima di inoltrarmi nelle molteplici curve, che portano al ponte di Tarandôn, costeggiato dal Monte Papagghjôn, getto un’occhiata a destra e sinistra.
Le palazzine recenti e meno recenti, come il santuario d Mamma Lucìja, hanno infranto lo spazio colto e incolto dove l’erba e i papaveri variopinti, senza parlare, annunciavano: “È maggio e tu, bracciante, tra non molto verrai a raccogliere le fresche fave, i piselli e il grano che io, madre terra, tutti gli anni ti offro”.
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